L’ora del Getsemani

 

Getsemani

6 luglio 1944

Dice Gesù:
«Vedi, anima mia, che avevo molta ragione di dire: “La conoscenza del mio tormento del Getsemani non sarebbe capita e diverrebbe scandalo”?
La gente non ammette il Demonio. Quelli che l’ammettono non ammettono che il Demonio abbia potuto vessare l’anima di Cristo sino al punto di far sudare sangue. Ma tu, che hai avuto un briciolo di questa tentazione, puoi comprendere.
Parliamo dunque insieme.

Mi hai chiesto: “Quante sono le agonie del Getsemani che mi dai?”.
Oh! tante! Non per piacere di tormentarti. Unicamente per bontà di Maestro e Sposo. Non potrei su te, piccola sposa, abbattere tutto insieme il cumulo di desolazione che mi accasciò quella sera e che nessuno intuì, che nessuno comprese fuorché mia Madre e il mio Angelo. Ne morresti pazza. E allora ti do adesso un briciolo, domani un altro, di modo da farti gustare tutto il mio cibo e di ottenere dal tuo soffrire il massimo di compassione per il tuo dolente Sposo e di redenzione per i tuoi fratelli.
Ecco perché ti do tante ore di Getsemani. Uniscile e, come il mosaicista unendo le tessere piano piano vede formarsi il quadro completo, tu, riunendo nel tuo pensiero il ricordo delle diverse ore, vedrai l’Agonia vera del tuo Signore.
Rifletti come ti amo. La prima volta ti ho dato soltanto la vista della mia smania fisica. E tu, soltanto per vedermi col Volto straziato, andare e venire, alzare le braccia, torcermi le mani, piangere e abbattermi, ne hai avuta tanta pena che per poco non mi moristi.
Ti ho presentato quella tortura visibile più e più volte sinché l’hai conosciuta e l’hai potuta sopportare. Poi,volta per volta, ti ho svelato le mie tristezze. Le mie tristezze. Di uomo. Tutte le passioni dell’uomo si sono drizzate come serpi irritate, fischiando i loro diritti d’essere, ed Io le ho dovute strozzare una per una per essere libero di salire il mio Calvario.

Non tutte le passioni sono malvagie. Te l’ho già spiegato. Io dò a questo nome il senso filosofico, non quello che voi gli date scambiando il senso col sentimento. E le passioni buone il tuo Gesù-Uomo le aveva come tutti gli uomini giusti. Ma anche le passioni buone possono divenire nemiche in certe ore, quando con la loro voce fanno catena, e catena di durissimo, fortissimo, annodatissimo acciaio, per impedirvi di compiere la volontà di Dio.
Amare la vita, dono di Dio, è dovere, tanto che chi si uccide è colpevole come e più di chi uccide, perché colui che uccide manca alla carità di prossimo ma può avere l’attenuante di una provocazione che lo dissenna, mentre chi si uccide manca contro sé stesso e contro Dio, che gli ha dato la vita perché egli la viva sino al suo richiamo. Uccidersi è strapparsi di dosso il dono di Dio e gettarlo con urlo di maledizione sul Volto di Dio. Chi si uccide dispera di avere un Padre, un Amico, un Buono. Chi si uccide nega ogni dogma di fede e ogni asserzione di fede. Chi si uccide nega Dio. Dunque occorre aver cara la vita.
Ma come cara? Facendosi schiavi di essa? No. Amica buona la vita. Amica dell’Altra. Della Vita vera. Questa è la grande Vita. Quella è la piccola vita. Ma come un’ancella serve e procura cibo alla sua signora, così la piccola vita serve e nutre la grande Vita, la quale raggiunge l’età perfetta attraverso le cure che la piccola vita le dà.
E’ proprio questa piccola vita che vi procura la veste ornata da indossare quando divenite le Signore del Regno di Vita. E’proprio questa piccola vita che vi fortifica col pane amaro, intriso di forte aceto, delle cose di ogni giorno, e vi fa adulti e perfetti per possedere la Vita che non termina Ecco perché occorre chiamare “cara” questa triste esistenza d’esilio e di dolore. E’ la banca in cui maturano i frutti delle ricchezze eterne.
E’ passabilmente buona? Lodarne il signore. E’ cosparsa di pene? Dir “grazie” al Signore. E’ triste oltre misura? Non dir mai: “E’ troppo”. Non dir mai: “Dio è cattivo”.
L’ho detto mille volte: “il male – e le tristezze che sono se non frutto del male? Il male non viene da Dio. E’ l’uomo il malvagio che fa soffrire”.
L’ho detto mille volte: “Dio sa finché potete soffrire e, se vede che è troppo ciò che il prossimo vi procura, interviene non soltanto aumentando la vostra forza di sopportazione, ma con conforti celesti; e quando è l’ora con spezzare i malvagi, perché non è lecito torturare oltre misura il prossimo migliore.
La vita è cara per le oneste soddisfazioni che procura: Dio non le biasima. Il lavoro Egli l’ha messo. Per punizione, ma anche per svago all’uomo colpevole. Guai se aveste a vivere nell’ozio. Da secoli la Terra sarebbe un enorme manicomio di furenti che si sbranerebbero l’un coll’altro. Lo fate già, perché ancor troppo oziate. L’onesta fatica rasserena e dà gioia e riposo sereno.
La vita è ancor più cara per gli affetti santi di cui si inflora. Dio non li biasima. Potrebbe Dio, che amore, biasimare un amore onesto? O gioia d’esser figli! E gioia d’esser padri! O gioia di trovare una compagna che genera figli al proprio nome e figli a Dio! O gioia di avere una dolce sorella, un buon fratello, e amici sinceri! No,che queste oneste dolcezze Dio non le biasima.
L’amore lo ha messo Lui, e non sulla Terra, come il lavoro, per punizione e svago del colpevole. Ma nel Terrestre Paradiso per base alla grande gioia di esser figli di Dio. “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen. 2,18) ha detto. Re del creato, l’uomo sarebbe stato in un deserto senza una compagna. Buoni gli animali tutti col loro re, ma troppo, sempre troppo inferiori al figlio di Dio. Buono, infinitamente buono Dio col suo figlio, ma sempre troppo superiore ad esso. L’uomo avrebbe patito la solitudine di essere ugualmente distante dal divino e dall’animale. E Dio gli diede la compagna.
Non solo. Ma dal casto amore con la stessa gli avrebbe concesso i dolci figli, perché l’uomo e la donna potessero dire la parola più dolce dopo il Nome di Dio; “Figlio mio!”, e i figli potessero dire la parola più santa dopo il nome di Dio: “Mamma!”.

Mamma! Chi dice: “mamma” prega già.
Dire: “mamma” vuol dire ringraziare Dio della sua Provvidenza, che dà una madre ai figli dell’uomo e fino ai piccoli figli delle fiere e dei domestici animali o dei volanti uccelli e fin dei muti pesci, perché l’uomo non conoscesse l’orrore di crescere solo e non cadesse per mancanza di sostegno quando ancora è troppo debole per conoscere il Bene e il Male. Dire: “mamma” vuol dire benedire Iddio che ci fa conoscere cosa sia l’amore attraverso il bacio di una madre e le parole delle sue labbra. Dire: “mamma” vuol dire conoscere Iddio che ci dà un riflesso del suo principale attributo, la Bontà, attraverso l’indulgenza di una madre. E conoscere Iddio vuol dire sperare, credere e amare. Vuol dire salvarsi.
Avere un fratello non è come avere, per una pianta, la pianta gemella che sostiene nelle ore di burrasca, intrecciando i rami, e che nelle ore di gioia aumenta la fioritura di essa col polline del suo amore?
Per questo ho voluto che i cristiani si chiamassero l’un l’altro fratelli, perché è giusto, dato che venite tutti da un Dio e da un sangue d’uomo, e perché è santo, perché è confortevole per coloro che non hanno fratelli di carne poter dire al vicino: “Fratello, io ti amo. Amami!”.
Avere un amico sincero non è come avere un compagno nel cammino? Andare soli è troppo triste. Quando Dio elegge alla solitudine di anima vittima, allora gli si fa compagno perché soli non si può stare senza flettere.
La vita è una strada scoscesa, sassosa, spesso interrotta da crepacci e correnti vorticose. Aspidi e spine lacerano e mordono sull’irto sentiero. Esser soli sarebbe perire. Dio ha creato l’amicizia per questo. In due cresce la forza e il coraggio. Anche un eroe ha attimi di debolezza. Se è solo dove si appoggia? Ai rovi? Dove si afferra? Agli aspidi? Dove si adagia? Nel torrente vorticoso o nell’orrido oscuro? Ovunque troverebbe nuove ferite e nuovo pericolo. Ma ecco l’amico. Il suo petto è appoggio, il suo braccio sostegno, il suo affetto riposo. E l’eroe riprende forza. Il camminatore cammina di nuovo sicuro.
Per valorizzare l’amicizia Io ho voluto chiamare “amici” i miei apostoli, e tanto ho apprezzato questo affetto che nell’ora del dolore ho voluto i tre più cari con Me nel Getsemani. Li ho pregati di vegliare e pregare con Me, per me… e di vederli incapaci di farlo ne ho tanto sofferto da uscirne indebolito, e perciò più suscettibile alle seduzioni sataniche. Una parola, avessi potuto scambiare una parola con degli amici desti e comprensivi del mio stato, non sarei giunto a svenarmi, prima della Tortura, nella lotta per respingere Satana.
Ma vita e affezioni non devono divenire nemiche. Mai. Se tali divengono, occorre spezzarle.
Le ho spezzate. Una per una.
Avevo già spezzato l’umano fermento di sdegno verso il Traditore. E un nervo del mio cuore s’era lacerato nello sforzo.
Ora ecco che sorgeva la paura di perdere la vita. La vita! Avevo trentatré anni. Ero uomo in quell’ora. Ero l’Uomo. Avevo perciò l’amore vergine della vita come lo aveva Adamo nel Paradiso Terrestre. Una gioia d’esser vivo, d’esser sano, d’esser forte, bello, intelligente, amato, rispettato. Una gioia di vedere, di intendere, di poter esprimere. Una gioia di respirare l’aria pura e profumata, di udire l’arpa del vento fra gli ulivi, vedere il rio fra i sassi, e il flauto di un usignolo innamorato; di vedere splendere le stelle in cielo, tanti occhi di fuoco che guardavano Me con amore; di vedere farsi d’argento la terra per la luna così bianca e lucente che riverginizza ogni sera il mondo, e pare impossibile che sotto la sua onda di candida pace possa agire il Delitto.
E tutto questo Io dovevo perdere. Non più vedere, non più udire, non più muovermi, non più essere sano, non più essere rispettato. Divenire l’aborto marcioso che si scansa col piede torcendo il capo con disgusto, l’aborto espulso dalla società che mi condannava per essere libera di darsi ai suoi sozzi amori.
Gli amici!... Uno mi aveva tradito. E mentre Io attendevo la morte, egli si affrettava a portarmela. Vedeva di darsi gioia con la mia morte… Gli altri dormivano. Eppure li amavo. Avrei potuto destarli, fuggire con loro, altrove, lontano, e salvare vita e amicizia. E invece dovevo tacere e restare. Restare voleva dire perdere amici e vita. Essere un reietto, voleva dire.

La Mamma! O amore della Mamma! Invocato amore curvo sul mio dolore! Respinto amore per non farti morire del mio dolore! Amore della mia Mamma!
Sì, lo so. Ogni mio singhiozzo ti giungeva, o Santa. Ogni mio chiamarti valicava lo spazio e penetrava come spirito nella chiusa stanza dove tu, come sempre, passavi la tua notte orando, e in quella notte orando non con estasi ma con tortura d’anima. E mi interdivo di chiamarti per non farti giungere il lamento del tuo Figlio, o Madre martire che iniziavi la tua Passione, solitaria come Io solitario, nella notte del Giovedì pasquale.
Il figlio che muore fra le braccia di sua madre non muore: solo si addormenta cullato dalla ninna nanna di baci, che continuano gli angeli fino al momento che la visione di Dio smemora del desiderio di sua madre. Ma Io dovevo morire fra le braccia dei carnefici e di un patibolo, e chiudere vista e udito su schiamazzi di maledizione e gesti di minaccia.
Come ti ho amata, Madre. In quell’ora del Getsemani!
Tutto l’amore che ti avevo dato e che mi avevi dato in trentatré anni di vita erano davanti a Me e peroravano la loro causa e mi imploravano di avere pietà di essi, ricordando ogni bacio tuo, ogni tua cura, le stille di latte che mi avevi dato, il cavo tiepido delle tue mani per i miei piedini freddi d’infante povero, le canzoni della tua bocca, la leggerezza delle tue dita sui miei riccioli fitti, e il tuo sorriso e il tuo sguardo e le tue parole e i tuoi silenzi e il tuo passo di colomba che posa i piedi rosei al suolo ma tiene le ali già socchiuse al volo, e non piega stelo tanto il suo andare è leggero, poiché tu eri sulla Terra per mia gioia, o Madre, ma tu avevi l’ali sempre trepide di Cielo, o santa, santa, santa e innamorata!
Tutte le lacrime che ti ero costato, e tutte quelle che ora cadevano dal tuo ciglio e quelle che sarebbero cadute nei tre giorni avvenire, ecco che le udivo cadere come pioggia di lamento. O lacrime di mia Mamma!
Ma chi può vedere piangere e udire piangere sua mamma e non avere poi, finché vita gli dura, lo strazio presente di quel pianto? Io ho dovuto sperdere, strozzare l’amore umano per te, Mamma, e calpestare il tuo e il mio amore per camminare sulla via della Volontà di Dio.

Ed ero Solo. Solo! Solo! Terra e Cielo non avevano più abitanti per Me. Ero l’Uomo carico dei peccati del mondo. Odiato perciò da Dio. Dovevo pagare per redimermi ed essere di nuovo amato. Ero l’Uomo carico della Bontà del Cielo. Odiato perciò dagli uomini a cui la Bontà è ripugnante. Dovevo essere ucciso per punizione d’esser buono.
E anche voi, oneste gioie del lavoro compiuto per dare il pane quotidiano a Me stesso prima, per dare il pane spirituale poi agli uomini, mi siete venuti avanti a dirmi: “Perchè ci lasci?”.
Nostalgia della quieta casa fatta santa da tante orazioni di giusti, fatta Tempio per aver accolto gli sponsali di Dio, fatta Cielo per aver ospitato fra le sue mura la Trinità chiusa nell’anima del Cristo di Dio!
Nostalgia delle folli umili e schiette alle quali davo luce e grazie, e dalle quali mi veniva amore! Voci di bambini che mi chiamava no con un sorriso, voci di madri che mi chiamavano con un singhiozzo, voci di malati che mi chiamavano con un gemito, voci di peccatori che mi chiamavano con un tremito! Tutte le udivo e mi dicevano:
“Perché ci abbandoni? Non ci vuoi più accarezzare? Chi ci darà carezze, sui ricci biondi o bruni, simili alle tue”. “Non vuoi più renderci le creature estinte, guarirci le morenti? Chi avrà pietà delle madri come Tu, Figlio santo?”.
 “Non vuoi più sanarci? Chi ci guarirà se Tu scompari?”.
“Non vuoi più redimerci? Non ci sei che Tu che sei Redenzione. Ogni tua parola è forza che schianta una corda di peccato nel nostro buio cuore. Noi siamo più malati dei lebbrosi, perché per loro la malattia cessa con la morte, per noi si accresce. E Tu te ne vai? Chi ci capirà? Chi sarà giusto e pietoso? Chi ci rialzerà? Resta, Signore!”.
“Resta! Resta! Rimani!” urlava la folla buona.
“Figlio!”, urlava mia Madre.
“Salvati!”, urlava la vita.
Ho dovuto spezzare queste gole che urlavano, strozzarle per non farle più urlare, per aver forza di spezzarmi il cuore, strappando uno per uno i suoi nervi per compiere la Volontà di Dio.

Ed ero solo. Cioè: ero con Satana.
La prima parte dell’orazione era stata penosa, ma ancora potevo sentire lo sguardo di Dio e sperare nell’amore degli amici.
La seconda fu più penosa perché Dio si ritirava e gli amici dormivano. Riconfermavano il sibilo di Satana e la voce della vita: “Ti sacrifichi per nulla. Gli uomini non ti ameranno per il tuo sacrificio. Gli uomini non comprendono”.
La terza… la terza fu la demenza, fu la disperazione, fu l’agonia, fu la morte. La morte dell’anima mia. Non è risorto soltanto il corpo mio. Anche la mia anima ha dovuto risorgere. Poiché conobbe la Morte.
Non vi paia eresia. Cosa è la morte dello spirito? La separazione eterna da Dio. Ebbene Io ero separato da Dio. Il mio spirito era morto. E’ la vera ora di eternità che Io conce do ai miei prediletti. Quella che tu, piccola sposa, ti sei chiesta che fosse da quando ti hanno detto che tu hai sorte simile a Veronica Giuliani, che al termine dell’esistenza conobbe questo strazio superiore a tutti gli strazi sovrumani.
Noi conosciamo la morte dello spirito, senza averla meritata, per comprendere l’orrore della dannazione che è il tormento dei peccatori impenitenti. La conosciamo per ottenere di salvarli. Lo so. Il cuore si spezza. Lo so. La ragione vacilla. So tutto, anima diletta. L’ho provato prima di te. E’ l’orrore infernale. Siamo in balia del Demonio perché siamo separati da Dio.
Credi tu che Marta, che vinse il dragone, abbia tremato più di noi? No. La sofferenza è più grande in noi. La belva vinta da Marta era una spaventosa belva, ma sempre una belva della Terra. Noi vinciamo la belva-Lucifero. Oh, non c’è confronto! E la Belva-Lucifero viene sempre più vicino quanto più tutto, in Cielo e in Terra, da noi si allontana.
Ero già stato tentato nel deserto. Una fola di tentazione poiché allora avevo solo la debolezza del cibo materiale. Ora ero affamato di cibo spirituale e affamato di cibo morale, e non c’era pane per il mio spirito e pane per il mio cuore. Non più Dio per lo spirito mio. Non più affetti per il cuore mio.
Ecco, allora, esile come lama di vento, penetrante come pungiglione d’ape, irritante come veleno di colubro, la voce di Lucifero. Un flauto che suona in sordina, così piano, così piano che non desta la nostra vigile attenzione. Penetra con la seduzione della sua magica armonia, ci fa sonnecchiare, sembra un conforto, ha aspetto di conforto soprannaturale.
Oh! Ingannatore eterno, come sei sottile! L’io non chiede che di essere aiutato. E pare che quel suono aiuti. Parole di compassione e di comprensione, dolci come carezze su una fonte febbrile, calmanti come unguento su una bruciatura, stordenti come vino generoso versato a chi è a digiuno. L’anima stanca si addormenta.
Se non fosse più che vigile col suo subcosciente, il quale è vigile soltanto in coloro che nutrono sé stessi di costante unione coll’Amore, finirebbe col cadere in un letargo che la darebbe in balìa totale di Satana, in un ipnotico sonno durante il quale Lucifero le farebbe compiere qualsiasi azione. Ma l’anima che ha nutrito sé stessa costantemente di Amore non perde l’integrità del suo subcosciente, neppure nelle ore che uomini e Dio pare si uniscano per fare di lei un demente. E il subcosciente sveglia l’anima. Le grida: “Agisci. Sorgi. Satana ti è alle spalle”.
La lotta tremenda ha inizio. Il veleno è già in noi. Occorre perciò lottare coi suoi effetti e contro le ondate accelerate, sempre più veementi e accelerate, del nuovo veleno della parola satanica che si versa su noi.
Il frastuono cresce. Non è più suono di flauto in sordina, non è più carezza e unguento. E’ clangore di strumenti pieni, è percossa, è ferita di gladio, è fiamma che soffoca ed arde. E nella fiamma eco la vita che passa davanti allo sguardo spirituale. Già c’era passata col suo rassegnato aspetto di cosa sacrificata. Ora torna con veste di prepotente regina e dice: “Adorami! Io son che regno! Questi son i miei doni. I doni che ti ho dato e più belli ti darò se tu mi sarai fedele”.
E nel suono degli strumenti tornano le voci delle cose e delle persone. Non pregano più. Comandano, imprecano, insultano, maledicono, perché le abbandoniamo. Tutto torna per tormentarci. Tutto. E l’anima sbalordita lotta sempre più debolmente.
Quando vacilla come guerriero svenato e cerca un appoggio in Cielo o in Terra per non procombere, ecco che Lucifero le dà la sua spalla. Non c’è che lui… Si chiama al soccorso… Non risponde che lui… Si cerca uno sguardo di pietà… Non si trova che il suo…
Guai a illudersi della sua sincerità! Col resto di energia che sopravvive bisogna scostarsi da quell’appoggio, rientrare nella solitudine, chiudere gli occhi e contemplare l’orrore del nostro destino piuttosto che il suo subdolo aspetto, alzare le mani che tremano e stringerle sulle orecchie per fare ostacolo alla voce che inganna.
Cade ogni arma nel fare così. Non si è più che una povera cosa morente e sola. Non si riesce neppure a pregare con la parola, perché l’acre del fiato Di Satana ci strozza le fauci. Solo il subcosciente prega. Prega. Prega. Come il batter confuso di farfalla trafitta esso agita le sue ali nell’agonia, ed ogni colpo d’ali dice: “Credo, spero, amo”. Credo ugualmente, spero ugualmente, ti amo ugualmente!”.
Non dice: “Dio”. Non osa più pronunciare il suo Nome. I sente troppo insozzato dalla presenza di Satana. Ma quel Nome lo tracciano le lacrime di sangue del cuore sulle ali angeliche dello spirito, che voi chiamate subcosciente mentre in realtà è il supercosciente, e ad ogni colpo d’ala quel Nome sfavilla come rubino percosso dal sole, e Dio lo vede, e le lacrime di pietà di Dio circondano di perle il rubino del vostro sangue che goccia in pianto eroico…
Oh! Anime che salite a Dio con quel Nome scritto così in rubini e perle!... Fiori del mio Paradiso!

Satana mi diceva, poiché la voce entrava nonostante ogni mio riparo:

 
“Tu vedi. Ancora non sei morto e già sei abbandonato. Tu vedi. Hai beneficato e sei odiato. Tu vedi. Lo stesso Dio non ti soccorre. Se non ti ama Dio, di cui sei Figlio, puoi mai sperare ti siano grati gli uomini del tuo sacrificio?
Sai cosa occorre per loro? La Vendetta, non l’Amore come Tu credi. Vendicati, o Cristo, di tutti questi stolti, di tutti questi crudeli. Vendicati. Colpisci con un miracolo che li fulmini. Appari quale sei: Dio. Il Dio terribile del Sinai. Il Dio terribile che mi ha fulminato e che ha cacciato Adamo dal Paradiso.
Fino ad ora hai detto parole di bontà. I tuoi rari rimproveri erano sempre troppo dolci per queste belve dalla pelle spessa più del cuoio dell’ippopotamo. Il tuo sguardo medicava le tue parole. Non sai che amare. Odia. E regnerai. L’odio tiene curve le schiene sotto la sua sferza e passa trionfante su queste schiene servili. Le schiaccia. E sono felici d’esserlo. Non sono che dei sadici, e la tortura è l’unica carezza che apprezzano e che ricordano.
E’ tardi? No, che non è tardi. Già gli armati vengono a questa volta? Non importa. Lo so che Tu ti appresti ad esser mite. Sei in errore. Una volta ti avevo insegnato a trionfare nella vita. Non hai voluto ascoltarmi e Tu vedi che sei un vinto. Ora ascoltami. Ora che ti insegno a trionfare dalla Morte.
Sii Re e Dio. Non hai armi? Non milizie? Non ricchezze? Te l’ho detto già una volta che un resto di amore, quel poco che può essermi rimasto dal tesoro d’amore che era la mia vita angelica, è in me per Te che sei buono. Ti amo, mio Signore, e ti voglio servire.
Sei il Redentore degli uomini. Perché non vuoi esserlo del tuo angelo decaduto? Ero il tuo prediletto perché il più luminoso e Tu sei la Luce. Ora sono la Tenebra. Ma le lacrime del mio tormento hanno empito l’Inferno di liquido fuoco tanto sono numerose. Lascia che io mi redima. Un poco soltanto. Che da demone divenga uomo. L’uomo è sempre tanto inferiore agli angeli. Ma quanto superiore a me, demonio!
Fa’ che io divenga uomo. Dammi una vita d’uomo tribolata, torturata, angosciosa quanto ti pare. Sarà sempre un Paradiso rispetto al mio tormento demonico. E potrò viverla in modo da espiare per di millenni e giungere infine di nuovo alla Luce; a Te.
Lascia che io ti serva in cambio di questo che ti chiedo. Nessun arma vince le mie. Né nessun esercito è più numeroso del mio. Le ricchezze di cui dispongo non hanno misura, perché ti farò re del mondo se Tu accetti il mio aiuto, e tutti i ricchi saranno gli schiavi tuoi. Guarda: i tuoi angeli, gli angeli del Padre tuo sono assenti. Ma i miei sono pronti a vestirsi di angelici aspetti per farti corona e stupire la plebe ignorante e malvagia.
Non sai dire parole di imperio? Io te le suggerirò. Sono qui per questo. Tuona e minaccia. Ascoltami. Di’ parole di menzogna. Ma trionfa. Di’ parole di maledizione. Di’ che te le suggerisce il Padre.
Vuoi che simuli la voce dell’Eterno? Lo farò. Tutto posso fare. Sono il re del mondo e dell’Inferno. Tu non sei che il Re del Cielo. Io sono più grande perciò di Te. Ma metto tutto ai tuoi piedi se Tu lo vuoi.
La Volontà del Padre tuo? Ma come puoi pensare che Egli voglia la morte del suo Figlio? Pensi che possa illudersi dell’utilità della stessa? Tu fai torto all’ Intelligenza di Dio. Già hai redento coloro che sono suscettibili di redenzione con la tua santa Parola. Non occorre di più. Credi che chi non muta per la Parola non muta per il tuo Sacrificio. Credi che il Padre ti ha voluto provare. Ma gli basta la tua obbedienza. Non vuole di più.
Quanto lo servirai di più vivendo! Puoi percorrere il mondo. Evangelizzare. Guarire. Elevare. O sorte felice! La Terra abitata da Dio! Ecco la vera redenzione.. Rifare della Terra il Paradiso terrestre dove l’uomo torna a vivere in santa amicizia con Dio e ne ode la voce e ne vede l’aspetto. Più ancora felice della sorte dei due Primi, Perché vedrebbero Te; vero Dio, vero Uomo.
La Morte! La tua Morte! Lo strazio di tua Madre! Lo scherno del mondo! Perchè? Vuoi essere fedele a Dio? Perché? Ti è fedele Lui? No. Dove sono i suoi angeli? Dov’è il suo sorriso? Cosa hai per anima, adesso? Un cencio lacero, afflosciato, abbandonato.
Deciditi. Dimmi: “Sì”.
Senti? Escono dal Tempio i sicari. Deciditi. Liberati. Sii degno della tua Natura.
Tu sei un sacrilego, perché permetti che mani sozze di sangue e libidine tocchino Te: il Santo dei santi. Sei il primo sacrilego del mondo. Dai la Parola di Dio in mano ai porci, in bocca ai porci.
Deciditi. Sai che morte ti attende. Io ti offro la vita, la gioia. La Madre ti riporto.
Povera Madre! Non ha che Te! Guarda come agonizza… e Tu ti appresti a farla agonizzare più ancora. Che figlio sei? Che rispetto porti alla Legge? Non rispetti Dio-Te. Non rispetti la genitrice. Tua Madre… Tua Madre… Tua Madre…”.

Ho risposto… Maria, ho risposto radunando le forze, bevendo pianto e sangue che colavano dagli occhi e dai pori, ho risposto:
“Non ho più madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Nulla ho più. Fuorché fare la Volontà del Signore mio Dio. Va’ indietro, Satana! L’ho detto la prima e la seconda volta. Lo ridico per la terza: ‘Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia; la tua Volontà sia fatta’. Va’ indietro, Satana. Io son di Dio!”.
Maria, ho risposto così… E il Cuore si è franto nello sforzo. Il sudore è divenuto non più stille ma rivoli di sangue. Non importa. Ho vinto.
Io ho vinto la Morte. Io. Non Satana. La Morte si vince accettando la morte.

Ti avevo promesso un grande regalo. Come a pochi l’ho concesso. Te l’ho dato. Hai conosciuto l’estrema tentazione del tuo Gesù. Te l’avevo già svelata. Ma eri ancora immatura per conoscerla in pieno. Ora lo puoi fare. Vedi che ho ragione di dire che non sarebbe compresa e ammessa da quei piccoli cristiani che sono larve di cristiani e non cristiani formati? Va’ in pace, chè Io sono con te».