DAL DUBBIO ALLA VERITÁ

di Jean-François Lavère

Quando si vuol cercare la verità su una questione
bisogna cominciare col dubitare molto
(S. Tommaso d'Aquino)

Il nostro primo contatto (mio e di mia moglie) con l'Opera di Maria Valtorta, agli inizi degli anni ottanta, avvenne per iniziativa di un Monsignore noto in Francia, amico di famiglia. Egli aveva già letto tre volte L'Evangile tel qu'il m'a été révélé quando ci disse, con l'autorità che gli derivava dal suo dottorato in teologia: "Non ho trovato in quest'opera nessun errore teologico. Ve ne raccomando vivamente la lettura".
Mia moglie seguì il suo consiglio illuminato e cominciò subito la lettura. Non volendo tenere solo per sé la scoperta, insisteva perché io la condividessi con lei. Dopo qualche scusa del genere: "non questa sera, cara, sono troppo stanco", mi arresi a malincuore alla sua richiesta di ascoltarne ogni sera la lettura di un capitolo, mentre... mi distraevo con i cruciverba.
Confidando nelle mie supposte capacità intellettuali, mi bastò qualche pagina per capire - come avevano fatto prima di me certi "dotti" e "sapienti" - che si trattava di una delle solite pseudo-rivelazioni di veggenti dall'eccessiva immaginazione. Bene ha detto Henri Poincaré: "Dubitare di tutto o credere a tutto sono due soluzioni ugualmente comode, perché l'una o l'altra ci dispensano dal riflettere". La ragione, in me, prendeva il sopravvento sulla riflessione. Fui presto esasperato da tutti quei dettagli, che ritenevo "inutili, apocrifi e inverificabili" e che pregiudicavano la mia capacità di ascolto. Infastidito, chiedevo spesso mia moglie: "Beh tralascia i dettagli e va' ai fatti", non badando di poter sciupare il suo godimento.
Tuttavia continuavo a prestare un orecchio più o meno distratto a questa "leggenda aurea", un po' per non dispiacerle, un po' per rispetto alle raccomandazioni dell'amico Monsignore e un po' anche... per conoscere il seguito. Ma la mia adesione non era completa, non accettavo di "diventare un bambino" (Mt 18,3), perciò il "tesoro" mi restò nascosto per tutto il primo dei dieci volumi che formano l'Opera (nell'edizione francese il primo volume riporta solo la "vita nascosta", iniziando la "vita pubblica" con il secondo volume).
Poi venne il secondo volume e ascoltai queste poche, illuminanti parole di Gesù: "Io ho desiderio di dare a chi in Me crede una visione riportata alla verità del mio tempo mortale" (L'Evangelo..., 1.44). Dopo poche pagine ecco la conferma in un passo che si trova ancora, in corpo più piccolo, sull'edizione francese dell'Opera, ma che non è più sull'edizione italiana perché trasferito, come altri brani "personali", in uno dei tre volumi dei Quaderni.
Si tratta di un "dolce consiglio" di Gesù a Maria Valtorta: "... ricorda di essere scrupolosa al sommo nel ripetere quanto vedi. Anche un'inezia ha un valore, e non è tua, ma mia. ... Nelle contemplazioni osservi molto, ma nella fretta di scrivere, e per le tue speciali condizioni di salute e di ambiente, ti avviene di omettere qualche particolare. Non lo devi fare. Mettili in calce, ma segnali tutti.... Più sarai attenta ed esatta e più sarà numeroso il numero di coloro che vengono a Me" (I Quaderni del 1944, 25 gennaio). Dovendo ricordare a Padre Migliorini quella raccomandazione di Gesù, Maria Valtorta aggiunge, qualche giorno dopo: "Ciò implica che le descrizioni debbano esser note, altrimenti come può esservi numero di anime che in grazia ad esse vanno a Gesù?" (I quaderni del 1944, 4 febbraio).
Queste poche frasi mi fecero l'effetto di un elettrochoc. Io, che non la smettevo di protestare contro le descrizioni "superflue", apprendevo improvvisamente che quei dettagli "inutili e sovrabbondanti", e che avevano nutrito la mia incredulità, erano dati proprio per ravvivare la mia fede! Le descrizioni non erano un sovraccarico futile, offerte solo all'ammirazione degli spiriti sensibili alla poesia, ma erano destinate soprattutto ad essere vagliate dalla ragione ed erano date a sostegno della fede. Era dunque con lo studio di questi dettagli che i "dotti" e i "sapienti" si sarebbero arresi alla veridicità degli insegnamenti contenuti nell'opera trasmessa da Maria Valtorta.
"Con le cose con cui uno pecca, con quelle viene punito", si legge nel libro della Sapienza (11,16). Avevo dubitato molto, bisognava dunque che ora studiassi molto.
Quel giorno, poiché me ne era stato indicato il mezzo, decisi di andare fino in fondo e afferrai la pertica che mi veniva tesa per portarmi in salvo. Era necessario verificare sistematicamente e con tutto il rigore scientifico possibile ogni dettaglio fornito nell'opera, analizzarne l'esattezza, la credibilità o coerenza, per provare la veridicità globale dell'opera, applicando l'antico principio di Ambrosiaster (citato da S. Tommaso): "Tutto ciò che è vero viene dallo Spirito Santo, chiunque sia colui che lo esprime".
Devo però ammettere che, al momento di prendere questa decisione, il mio scetticismo verso l'opera non era ancora del tutto dissipato. "In uno o due mesi - pensavo - e dopo avere analizzato un centinaio di dettagli, vedrò in modo certo se tutto ciò è veritiero o se vi sono degli errori". Analisi simili, infatti, da me eseguite sugli scritti di Maria d'Agreda e di Anna Caterina Emmerich, avevano alimentato il mio scetticismo sulla qualità della trascrizione di certe visioni. (Non di trascrizione si trattava per Maria Valtorta, che aveva scritto tutto di suo pugno).
Dubitando ad veritatem pervenimus (dubitando giungiamo alla verità), scrive Cicerone nel De officiis. Ero ben lontano dall'immaginare che lo studio che mi proponevo mi avrebbe svelato una molteplicità di tesori nascosti, al punto da farmi intravedere "lo splendore della Verità" di cui ha tanto ben parlato Giovanni Paolo II.
Mi spronava Seneca: "Cerchiamo un bene che non sia appariscente, ma solido e duraturo, e che abbia una sua bellezza tutta intima: tiriamolo fuori. Non è lontano, si troverà, bisogna soltanto che tu sappia dove allungare la mano; ora, invece, come se fossimo al buio, passiamo davanti alle cose che ci sono vicine, inciampando magari proprio in quelle che desideriamo" (De vita beata III, 1). La ricerca della Verità può essere paragonata alla ricerca di un tesoro. Come in ogni caccia al tesoro, per assicurare il successo alla nostra indagine è necessario scegliere bene l'attrezzatura di base: una carta affidabile, un buon rivelatore di metalli e un piccone solido.
La carta è la Sacra Scrittura, con al centro i Vangeli. Coloro che partono alla ricerca del Tesoro senza questa carta non possono scoprire subito se è tutto oro ciò che splende e potranno, in seguito, provare l'amara delusione di aver trovato solo della bigiotteria che brilla di luce appariscente e falsa. Le Scritture indicano la vera Via che conduce alla Verità.
Il detector, che ci permetterà di scoprire le pepite della Verità per estrarle dai campi che possono nascondere anche errori e menzogne, ha per nome "Fede". La fede ci guida passo passo nella nostra ricerca e ci orienta verso la Verità, come l'ago della bussola aiutava un tempo il marinaio a seguire la rotta. Quando la fede ci mostra in modo sufficientemente chiaro dove si trova la Verità, è ora di scoprirla veramente e di ammirarne la bellezza.
È allora che il piccone può intervenire per sgombrare tutto ciò che ancora la nasconde alla nostra vista. Nella metafora il piccone è indubbiamente la ragione. Con essa si può scavare, sgomberare, setacciare. Improvvisamente ecco la gioia, lo sbalordimento: il tesoro affiora, illuminando lo spirito dei suoi mille fuochi. Ma bisogna sempre tener presente che, nella ricerca della verità, la fede deve precedere la ragione, perché la verità si raggiunge con la ragione illuminata dalla fede, come ha insegnato il papa Giovanni Paolo II nella sua mirabile enciclica Fides et ratio.
Le rivelazioni private, relative al messaggio evangelico, possono essere viste come altrettante annotazioni sulla carta. Esse possono illustrare la Scrittura, renderne piacevole la lettura, facilitarne la comprensione. Ma la carta - la Scrittura - è stata data una volta per tutte. Non vi si può più aggiungere nulla, come non si deve togliere nulla da essa, se non si vuole snaturarla e perfino renderla illeggibile. È ciò che la Chiesa spiega quando dichiara completata la Rivelazione. Garante del contenuto e della custodia del Messaggio, la Chiesa veglia sul suo tesoro come una madre sui figli. È dunque suo dovere dare un giudizio su tutto ciò che concerne il Deposito che è stato a lei affidato.
Ecco perché è lecito e prudente (se non indispensabile), prima di immergersi nello studio dettagliato di un documento come L'Evangelo come mi è stato rivelato, avere una visione chiara della posizione della Chiesa a suo riguardo. Altrimenti - parafrasando S. Paolo in 1 Cor 14,6 - in che cosa il messaggio trasmesso da Maria Valtorta sarebbe utile se non ci apporta né rivelazione, né scienza, né profezia, né dottrina?
Certi detrattori dell'Opera di Maria Valtorta utilizzano, come argomento per sconsigliarne la lettura, la messa all'Indice del 1959 da parte del Sant'Uffizio, senza valutarne la prevalente motivazione disciplinare, provocata dal comportamento imprudente di alcuni Religiosi, e senza riferire sugli attestati che Ecclesiastici di alto rango hanno rilasciato in merito a quest'Opera, che per lo meno non contiene nulla contro la fede e la morale.
Anche a questo riguardo ho sentito il dovere di condurre, per mio conto e sulla base di documenti, un'indagine la cui esposizione, con la relativa conclusione, non può trovare spazio qui. Posso però rimandare al ben documentato libro intitolato Pro e contro Maria Valtorta, che per ora è disponibile solo nell'edizione italiana.

Traduzione dal francese di Claudia Vecchiarelli.


Da "Bollettino Valtortiano" Gennaio/Giugno 2010.